sabato 27 novembre 2010

Chiaro no?

Quest'anno ho pensato di giocare d'anticipo. Se anche questa volta l'albero di Natale a casa non si farà, almeno il blog sarà addobbato come si deve.
Non si prospetta un gran bel Natale in effetti.. 
E' già un mese che faccio straordinari, e questo Dicembre sarà identico al vecchio Dicembre del 2009. 
C'è tanta amarezza, speranze quasi svanite nell nulla per le nuove situazioni che si stanno venendo a creare.. ed indirettamente ci è stato detto di non sperare troppo in un rinnovo, che LORO hanno le mani legate. LORO. 

Ho deciso di terminare quest'ultimo mese e quest'anno ad occhi chiusi, orecchie tappate e bocca serrata. 
Mente solo buttata sul mio lavoro, nient'altro. Nella speranza che finisca in fretta tutto questo. Che se c'è qualche bella notizia, sperare di averla subito. Che se c'è da smettere di sperare, finirla la.

Mi godrò i miei ultimi giorni, saluterò tutti alla cena di Natale, e via. 

Il tempo è scaduto, novità non ce ne sono, ma anche se dovessero essercene, per com'è l'andazzo, ogni decisione verrà rinviata all'anno nuovo. Ed intanto giochiamo con la vita delle persone.

Applausi a chi ci ha preso per il culo, a chi ci ha detto di stare tranquilli, tanto non avremmo avuto nulla di cui temere, ai politici che ci hanno assicurato che avremmo passato un felice Natale, ai sindacati che hanno fatto un gioco troppo losco che non è stato premiato. 

Tanto so già come andrà a finire...

<Buongiorno, ma qual buon vento ti porta qui, è da tanto che non ci vediamo, accomodati. Come stai?>
<Bene bene, indaffarata come sempre. E piuttosto preoccupata, sai.. il quattordici gennaio si sta avvicinando>
 
Silenzio


<Ma lo sai la situazione com'è.. dovrai aspettare un po'.. circa sei mesi e dovrebbe rientrare tutto, poi torna qui che ne riparliamo>

Chiaro no?

sabato 20 novembre 2010

Provate voi a stare al mio posto

Prima di iniziare questo tipico Sabato di solitudine, lavoro e pulizie, volevo scrivere due parole.
Non so neanche io cosa voglio dirvi (eh si, finalmente ho l'onore di poter parlare ad altre persone, finalmente c'è qualche povero sventurato che è rimasto impigliato con la giacca alla V del titolo dele Blog), ma ve lo voglio dire.
Cosa? In fondo niente.
Voglio dirvi che ci sono, che sono sempre qui. Che lotto tra i mille dubbi di una vita, che tre anni fa erano solo gocce d'umidità che salivano dalla terra bagnata, ora sono veri e propri banchi di nebbia.
Cosa mi succede chiederete voi. Una cosa tanto normale in questo Paese vi rispondo io. Ma che finora non mi aveva mai sfiorato l'esistenza.
La società per cui lavoro, se entro Dicembre non saprà i risultati di una gara d'appalto, metterà venticinque di noi in Cassa Integrazione.
Bè, direte voi, stipendio pagato all'ottanta per cento e possibilità di starsene a casa e magari impegnare il tempo a scrivere questa dannata storia che mi perseguita la mente, ed ho anche il coraggio di lamentarmi?!
Eh no, io non sono tra i venticinque.
Ancora meglio, mi rispondereste voi.
Eh no, io sono un tassello removibile a piacimento.
Tra meno di due mesi mi scade il contratto dopo ben quattro e sottolineo quattro anni di servizio.
Per cui, se dovesse anche soltanto entrare in Cassa Integrazione, la società per cui lavoro ha il dovere di non riassumere (e mi sembra anche giusto) nessuno, neanche chi aveva già avuto rapporti lavorativi con la stessa.
Siamo stati freddamente svegliati da tre sigle sindacali che non hanno fatto quasi nulla per tutelarci, anzi, hanno (come al solito) fatto il gioco dell'azienda. E siamo stati freddamente svegliati dalla nostra stupidità. Che ci ha fatto decidere di ricorrere ai sindacati solo all'ultimo minuto e non sin dall'inizio.

Siamo arrivati, Gennaio 2011 è alle porte, la data tanto temuta ed attesa.
Zero certezze, tanta preoccupazione che però non mi distoglie dal mio lavoro. Ogni giorno alle 7 e 50 entro in quell'ufficio e ci sono giorni che ne esco alle 21 di sera.
Sono stanca, ho 14 giorni di ferie arretrate, 50 ore di banca ore accumulata da centinaia di giorni passati a lavorare di più, passati in macchina in giro per il Sud Italia.
Mai come in questi giorni sono così poco sicura di tutto.
Ormai è da un pò che cerco di immaginare la mia vita senza il mio lavoro.
E tremo all'idea..

Mi piace, mi piace quello che sto facendo, mi piace il rispetto e la fiducia che mi sto costruendo verso i miei superiori. Mi piace quando c'è qualche problema e chiamano me, mi piace sentirmi indispensabile, tornare a casa, aprire il Macbook e lavoricchiare per salvare situazioni disastrose.
Mi piace sentirmi tirata in ballo su decisioni importanti, essere la responsabile di questo e di quello... e di quell'altro ancora... e si, anche di questo e questo e quest'altro.
Forse un pò troppo. Ma mi piace.

E forse tutto finirà tra due mesi...

Mi dicono di stare tranquilla, mi dicono "Ma possono non riassumerti?"
Si.
Provate voi a stare al mio posto.

lunedì 1 novembre 2010

Ventuno rosse, quindici blu, trenta grigie..

E siamo arrivati anche a Novembre, mancano due giorni al mio compleanno. Dopodomani compio ben ventiquattro anni, anzi 24.. fa più effetto. 
Ma non è di questo che voglio parlarvi, o almeno non di questo compleanno, bensì di quelli degli anni passati, quattordici o quindici anni fa.
Mi rendo conto, confrontando i comportamenti di adesso con quelli degli anni passati, che certi lati del mio carattere non sono mai cambiati. 
Quello che facevo nell'attesa del mio compleanno, lo faccio ancora oggi (seppur in maniera totalmente diversa, ma lo scopo è sempre lo stesso).
Per spiegare meglio il mio comportamento devo raccontare un pezzettino della mia vita e per farlo devo parlare di mio padre.
Lui, il mio papà, non è mai stato cattivo con me, sapeva sempre perdonarmi. 
Non era cattivo con me anche perchè non c'era quasi mai a casa. Tutti penserete ora che il mio papà era un valoroso soldato dell'esercito. No. 
Era, anzi è, un programmatore.
A distanza di anni (ora che lavoro nella stessa società dove lavora lui) mi rendo conto di cosa significa davvero lavorare. E soprattutto cosa significa lavorare lì. 
Ma a dieci anni, quando vorresti soltanto andare a scuola, fare i compiti e poi uscire di pomeriggio con i tuoi, invitare le amichette a casa,non capisci il senso delle parole: lavoro, ferie mancate, impossibilità di muoversi neanche per accompagnarti dal medico. Vedi soltanto: il suo non esserci mai a casa, le sue ferie mai prese, la sua assenza nelle cose più belle che ti capitano, la sua impossibilità nell'accompagnarti da qualche parte, il suo portarti a mare quattro volte in tre mesi a mare, il suo fare tardi quando il cenone di Capodanno è pronto da un pezzo a tavola, la sua anima risucchiata da quel dannato posto.
Sono sempre cresciuta nell'attesa di qualcosa, nell'attesa del mio giorno per sentirmi al centro dell'universo per almeno ventiquattr'ore. Lo faccio tutt'ora. Quando aspetto qualcosa d'importante, mi ritrovo sempre ad aspettarlo da sola. L'arrivo delle ferie, l'arrivo di una festa, l'arrivo del Natale, del mio compleanno, l'arrivo di qualcuno.. 
E mi rendo conto che se resto da sola ad aspettare, inizio a perdere la testa. Quindi m'invento qualcosa da fare: calcolo quant'è lungo il tempo che mi separa dall'evento per cui mi vedo per esempio un paio di puntate di qualche telefilm che mi piace, stiro i panni (eh già!!!!), faccio di tutto per non guardare l'orologio e far passare il tempo il più velocemente possibile.
A dieci anni sicuramente non potevo stirare, non avevo internet e guardavo continuamente l'orologio.
Un tre novembre di tanti anni fa, mi inventai un gioco. 
Seduta sul balcone della mia vecchia casa che dava sul cortile, riuscivo ad osservare un paio di metri di una lunga strada. 
Avevo un quaderno ed una penna in mano, il primo foglio era diviso in tante colonne. La prima colonna era chiamata "ROSSA", la seconda "BLU", la terza "VERDE", la quarta "GRIGIA", la quinta "BIANCA" e così via. 
A dividere le colonne poi c'erano le righe delle ore, erano dei lassi di tempo del tipo: dalle 16 alle 17, dalle 17 alle 18, dalle 19 alle 20, l'orario in cui tornava solitamente mio padre a casa.
Queste colonne erano segnate da tante X. Alla fine, dopo aver compilato tutte le righe dei lassi di tempo, sulla pagina accanto facevo il conteggio delle X. Disegnavo una tabella con riportato le varie colonne dei colori e il totale delle X a numero. La tabella la chiamavo "MACCHINE". E così passavo il mio tempo......
Dalle 16 alle 20 erano passate ventuno macchine rosse, quindici blu, trenta grigie, trentadue bianche..